6. ott, 2021
Politica, università e imprese. Una sollecitazione al nuovo Presidente di Pierpaolo Bilotta
Il rapporto tra università ed imprese rappresenta un tema di assoluta attualità in considerazione dell’attenzione riservata dal piano di ripresa e resilienza in corso di perfezionamento burocratico. Una resilienza che è stata la caratteristica assunta da qualche anno dal sistema universitario che si è dovuto barcamenare tra finanziamenti regressivi, corse esasperate a contenere i costi di esercizio, limiti al turnover. Da qui, un PNRR che rappresenterebbe, quantomeno sul piano teorico, una occasione più unica che rara.
Proviamo ad analizzarlo rispetto al tessuto economico sociale a noi riconducibile, in quanto da esso dipenderà una consistente quota del nostro futuro.
La prima considerazione ricade sulle scelte federaliste di cui l’Italia si è dotata, ormai da diverso tempo; la formazione, come per la sanità, è specifica e prioritaria competenza delle Regioni.
Le politiche regionali calabresi sulla formazione hanno attirato fortissime critiche e polemiche, atteso che gli ingenti capitali disponibili e spesi, non hanno sortito gli effetti promessi.
Probabilmente uno motivi più accreditati, rimane lo scollamento fra le attività didattiche affidate ai numerosi enti formativi accreditati rispetto al mondo produttivo che troppo spesso non ha manifestato interesse ad assorbire il formato capitale umano. Ma troppo spesso si è riscontrato come la formazione offerta fosse assai teorica, strutturata su profili lontani dalle effettive esigenze di un tessuto produttivo tendenzialmente statico.
Ciò dimostra come l’equilibrio fra offerta formativa e valorizzazioni concrete del mondo produttivo, sia complicato da raggiungere, e richiede competenze e conoscenze assai specifiche.
Non penso sia facile rispondere alla domanda: nasce prima la formazione di risorse umane che riescano a “trasformare” in produzione di beni o servizi ? oppure con una formazione specialistica che si plasma in base alle attitudini produttive di un territorio?
Nella nostra regione si riscontrano esperienze di entrambi i tipi: dalla formazione universitaria alla creazione di spin-off universitari che dovrebbero conquistare la piena autonomia produttiva nel territorio di riferimento, piuttosto che la formazione di laureati in specializzazioni variegate che in buona parte arricchiscono le competenze di imprese non del territorio. In sostanza un ascensore sociale che ci vede protagonisti nella formazione teorica, ma che si muove non solo verticalmente ma purtroppo anche orizzontalmente impoverendo il nostro tessuto produttivo.
Non sarebbe corretto pianificare un’unica direzione ma ritengo che in una visione macroeconomica, l’università sorge in un contesto col presupposto che arricchisca il territorio in cui sorge, ben oltre le speculazioni immobiliari o i dipendenti diretti.
Sebbene il concetto di territorialità si sia molto affievolito, in considerazione della new economy digitale globalizzata, il binomio università / impresa non può prescindere da un’analisi dei fabbisogni al fine di contribuire nel medio lungo termine alla crescita di PIL e soprattutto di incentivo demografico, che la Calabria soffre enormemente.
Il primo approccio ritengo sia riconducibile all’analisi dei tre attori della nostra economia: PA pubblica amministrazione, Imprese private, il terzo settore sempre più emergente e di recente riorganizzazione civilistica e fiscale.
A seguire un profondo coinvolgimento delle associazioni datoriali, purtroppo sempre meno rappresentative del mondo produttivo, ed ancor più degli ordini professionali. Istituzioni che dovrebbero avere una presenza fissa nei nostri atenei partecipando attivamente alla predisposizione dei piani di studio e rendendosi disponibili ad erogare parte dell’offerta.
La sfida, dunque, diventa quella di formare con adeguate competenza le nuove leve ma soprattutto la capacità di trattenere le risorse umane al fine di garantire continuità e crescita al nostro territorio, la cui popolazione attiva è in costante calo.
Dei tre protagonisti sopra citati, quello a me più vicino rimane l’azienda. Ad oggi è un fatto che i giovani laureati non riescono ad entrare facilmente nei meccanismi produttivi se non dopo un periodo di formazione/apprendistato. Appare paradossale che l’azienda debba sopportare specifici costi formativi che potrebbe meglio pianificare in un contesto collaborativo di contenuti e modalità, ben oltre le sparute e brevi esperienze degli attuali protocolli aziende università.
In Italia si annoverano numerosi casi di successo fra le università ed imprese in corrispondenza di specifici distretti produttivi caratterizzati da forte dinamismo e costante domanda di specifici profili, dunque si tratterebbe di mutuare protocolli di successo sfruttando specifiche esperienze.
il Pnrr rappresenta un’occasione unica, forse ultima in considerazione dell’eccezionale esperienza pandemica in corso.
Seicentotrenta centri per il trasferimento tecnologico e la trasformazione digitale delle imprese censiti nell’Atlante i4.0 del ministero dello Sviluppo economico e di Unioncamere, tra cui otto Competence center nazionali nati con il programma Industria 4.0. Quarantacinque poli di innovazione preselezionati per il programma europeo Edih (European digital innovation hub). Venti “Ecosistemi dell’innovazione” e sette centri di ricerca su tecnologie di frontiera, citati nel testo del Recovery Plan trasmesso dal governo al Parlamento e accompagnati da robuste previsioni di finanziamento (800 milioni nel primo caso e 1,6 miliardi nel secondo). Questi sono solo alcuni dei numeri del sistema italiano del trasferimento tecnologico, tra strutture già esistenti e realtà in costruzione.
Sul rischio di uno scarso coordinamento o peggio di una dispersione di risorse si sono espressi recentemente esperti privati del settore.
Per ora però, in attesa di aggiustare il tiro nella versione definitiva del Recovery Plan, la necessità immediata è assicurare all’Italia dei candidati solidi per il programma Edih. Si tratta di centri che offrono servizi di innovazione, come consulenza e formazione, e competenze tecniche e sperimentazione in modo che le aziende possano “testare prima di investire”
Ecco dunque il nuovo, o meglio rinnovato, paradigma che consacra il fondamentale binomio impresa/università ma a condizioni sensibilmente diverse rispetto a quelle osservate finora nel nostro territorio.
Piepaolo Bilotta