10. set, 2021
I sanitari sono troppo silenti nei confronti delle difficoltà a potersi esprimere come saprebbero di Pierpaolo Correale
Il silenzio dei sanitari
All’inizio del 2017 ho lasciato la Toscana dopo quasi venti anni di professione per venire dirigere l’UOC di Oncologia del grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria. Seppure fossi anche io un figlio del Sud, non ero un prodotto di questa terra. Ho accettato l’incarico con entusiasmo. Tutti mi esortavano a ripensarci o in alternativa a preparami a dover affrontare l'inferno in terra. Mi prospettavano un’assistenza sanitaria catastrofica, con personale rabbioso e impreparato; il tutto gestito in maniera malavitosa in un contesto infrastrutturale obsoleto. Tutte queste cose a me sembravano luoghi comini e per nulla intaccato nell’entusiasmo, rimanevo determinato a trasferirmi ed ad esercitare la mia professione in quella terra che ho amato sin da bambino e che come “forestiero” conoscevo solo come nido estivo e nei suoi aspetti turistici. Il mio primo impatto con la Calabria non rispecchiava affatto le nefaste previsioni. Dal nord al sud scoprivo lentamente una terra stupenda, ricca di contrasti, dove mare e montagne si affrontano in un'eterna sfida di vanità e bellezza. Una terra che non ha bisogno dell’uomo per essere bella, portandosi dietro retaggi millenari e culture diversificate e intense che precedevano di molto la civiltà romana. Scoprivo la capacità dei calabresi di mantenere ancora forti i valori della famiglia, della cultura e della solidarietà e soprattutto, riscontravo la presenza di ricchissime professionalità, menti eccelse e grandi lavoratori. La cosa che mi colpiva con amarezza, era il fatto che tutta questa ricchezza non era sostenuta e protetta da un’adeguata organizzazione politico-amministrativa. Rilevavo sin dal primo momento la completa abdicazione gestionale a fronte della latitanza delle fonti governative. Tutto ciò sembrava una completa resa di fronte all’opportunismo e alla prepotenza di una sparuta minoranza che perseverava nei suoi propositi autodistruttivi, instaurando un nuovo regime di neofeudalesimo in una guerra continua con il potere esecutivo e giudiziario. Quel potere che in tutta risposta, accecato dai suoi obiettivi, sembra aver dimenticato i valori della democrazia.
Questo è il quadro che ho trovato nella nostra organizzazione sanitaria. Questo è quanto si riscontra nelle realtà ospedaliere e territoriali calabresi, dove uno isolato gruppo di sanitari con altissimo livello formativo e volontà di ferro cerca disperatamente di aggregarsi di fronte alla mancanza di una cultura organizzativa. Un gruppo che deve fare i conti con atti aziendali scopiazzati e inattuabili, gestione amministrativa di tipo amichevole se non addirittura forfettaria, ordini di servizio contrastanti necessari solo a tappare i buchi che si presentano di continuo in un tessuto strutturale mai restaurato. In mancanza di un meccanismo autonomo di controllo interno, nelle nostre strutture sanitarie è inevitabile doversi appellare all’accondiscendenza dei potenti di turno o all’ improvvida evocazione di una magistratura che si sente sempre più protagonista e disinvolta. La mancanza di una coordinazione sanitaria intra-aziendale e territoriale, lascia soli i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari di fronte ad una popolazione sempre più arrabbiata e sfiduciata a cui non riesce più a dare risposte. Una rabbia che non può trovare responsabili ma capri espiatori. Una rabbia che serve proprio a non dare risposte ma piuttosto a condannare un intero popolo al marchio di ignoranti e degenerati. Una rabbia che permette a qualcuno di cavalcare l’onda della visibilità mediatica e di permettersi di dichiarare pubblicamente che tutti i calabresi sono marci e che il sistema è ormai infiltrato dalla malavita e che nulla potrà mai cambiare. Alla luce di ciò, sono stati concessi poteri speciali alle autorità tali da mortificare i diritti civili non certo della criminalità organizzata che sa bene come difendersi, ma piuttosto di bravi cittadini che si mettono in gioco e che spesso devono muoversi ai margini della legalità, non per interesse personale, ma perché è l’unico modo per aiutare chi è stato abbandonato. Come si può pensare ad una oncologia funzionale e decente senza un regia che sappia coordinare chirurghi, oncologi, radioterapisti, patologi, radiologi e medici nucleari indipendentemente dal fatto che questi siano legati al pubblico o al privato.
Io credo nella democrazia e nel confronto politico e nelle istituzioni. Io credo nella diversità di pensiero e soprattutto nella formazione professionale come unica vera strada per la rinascita democratica di una regione cosi complessa come la nostra. Sono stanco di una politica che non cerca costruttori ma nemici. Voglio sentire parlare programmi e di integrazione costruttiva tra pubblico e privato. Voglio sentire di proposte di sviluppo socio sanitario, salute territoriale e assistenza sociale. Voglio vedere una rivoluzione nell’organizzazione amministrativa capace di fissare obbiettivi, di reperire i fondi necessari e le risorse umane e soprattutto di verificare i risultati e capace di difendersi dagli emergenti attizzapopolo mediatici. Sono stanco dei cavalieri della giustizia unti dal Signore e portatori di verità e vendetta. Il nostro futuro e quello dei nostri figli è nelle mani di chi saprà mettere insieme idee diverse costruendo un percorso in sanità. Il fallimento di questo progetto politico diversificato non farebbe altro che farci continuare a vivere in un mondo con organizzazione e mezzi centro-africani ma ancora sottoposta alle leggi italiane.
Pierpaolo Correale
GOM di Reggio Calabria