2. set, 2021
Informazione e social: sodalizio virtuoso o combinazione letale? di Camilla Curcio
Nonostante il web sia ormai diventato una componente imprescindibile delle nostre vite, pensare all’accoppiata informazione e social fa ancora parecchio strano. Due mondi apparentemente così lontani, con grammatiche così diverse, ritmi e velocità agli antipodi, per le quali sembrerebbe quasi impossibile anche solo immaginare l’ipotesi di un compromesso. Eppure, negli ultimi anni, tra una miriade di selfie identici che sembrano un inno alla spersonalizzazione e influencer improvvisati che tentano di accalappiarci con spottoni di dubbio gusto, esiste una dimensione parallela in cui l’attualità e la cultura riescono a ritagliarsi uno spazio e a far rumore. Raggiungendo un pubblico sempre più ampio. Sempre più eterogeneo. Sempre più interessato a capire da vicino dinamiche che, forse per pigrizia, forse per mancanza di strumenti, si è limitato a osservare da lontano. Giornalisti e addetti ai lavori hanno imparato ad approcciarsi senza pregiudizi a un mezzo che, per la sua immediatezza, permette a pensieri e parole di correre veloci, oltrepassando le barriere geografiche e linguistiche. Così, da un giorno all’altro, Instagram, Twitter e TikTok si sono riempiti di voci che hanno iniziato a parlare di elezioni e di spread, di Afghanistan e di diritti delle donne, di cambiamento climatico e letteratura. Stimolando un dibattito che ha abbracciato tante generazioni diverse e dimostrando come certi argomenti, più che alla nicchia a cui sono ghettizzati, possono e devono trovare un modo per appartenere alla gente. Semplificandosi senza perdere mordente e provando a esplorare linguaggi che, mettendo da parte retorica ed eccessivi tecnicismi, trovino la chiave giusta per esaltare il contenuto, facendolo diventare mainstream. Senza sminuirlo per renderlo accessibile a chiunque ma analizzandolo da prospettive comprensibili a quella fetta di pubblico che non vanta studi di geopolitica o di finanza nel curriculum ma vuole essere sentirsi parte attiva di quel che succede nel mondo. Se però, questa commistione tra notizie e social sembra avere tutte le carte in regola per democratizzare il giornalismo, riavvicinandolo alla gente e spogliandolo di quell’aura di classismo di cui si è ammantato (o è stato ingiustamente ammantato), dall’altro è bene camminare coi piedi di piombo. Selezionare le fonti a cui si attinge e valutarne con attenzione l’attendibilità prima di lasciarsi riempire la testa di fumo e prendere qualsiasi lezione come oro colato. Aprirsi ai nuovi mezzi e alle possibilità offerte dalla tecnologia senza mai abbandonare il resto. Instagram non potrà mai sostituire la carta stampata, il telegiornale o il libro. L’estemporaneità non potrà mai azzerare la qualità che solo il tempo e lo studio dietro a una ricerca o a un articolo possono garantire. La velocità con cui oggi riusciamo a raccogliere informazioni sullo Yemen, sulla Siria o sulla Libia è impagabile ma rischia di trasformarsi in una trappola letale, se ci si riduce a fare affidamento solo a quel parametro. L’utente medio deve guardare a stories e filmati di pochi secondi come al punto di partenza di un approfondimento che va oltre lo schermo di un cellulare e lo spinge a cavalcare una curiosità che può trovare appagamento solo nell’expertise di chi, certi fenomeni e certi personaggi, li ha studiati con cura e attenzione. Non di chi, nel tentativo di macinare numeri da record e sull’onda dell’indignazione, si improvvisa tuttologo e parla indistintamente di guerra e di ultime tendenze in passerella, di politica e di reality. Demonizzare a prescindere certe piattaforme è ovviamente sbagliato ma adottarle come unico e solo hub di informazione quotidiana non può che portare, inevitabilmente, alla disinformazione. O, perlomeno, a una visione incompleta e poco chiara dei fatti, assecondando opinioni di parte che andrebbero contestualizzate in un quadro più generale o dietrologie che fanno il male di chi le diffonde e di chi finisce per assorbirle passivamente. Il matrimonio tra la tradizione e l’algoritmo non è un’utopia e neppure un’idea da contrastare. Basta capire che, dietro a uno schermo, non troveremo mai risposte convincenti a tutte le nostre domande e che cercarle altrove, nella stampa nazionale, in quella internazionale o, banalmente, anche tra le pagine di un’enciclopedia online, non sarà mai uno sforzo evitabile ma l’unica strada da percorrere per imparare a distinguere la sostanza dal chiacchiericcio. E guardare all’attualità con consapevolezza e spirito critico.
Camilla Curcio, giornalista