20. ago, 2021
Cultura e ricerca sono le carte vincenti per un regione che deve uscire dal girone degli ultimi del prof. Enrico Caterini
La cultura si mangia, e genera sviluppo. L’esperienza della pandemia ha dimostrato che la prima parola è della conoscenza e l’ultima della politica. la crescita dei territori –soprattutto quelli in ritardo- implica una massiccia dose di integrazione fra conoscenza e politica. La prima non ha sedi di monopolio. La conoscenza è fortemente competitiva e fa emergere il meglio lì dove si trova. Dunque, nessuna riserva o enclave varrà a mantenere una qualsiasi condizione di privilegio. Ciò nonostante, le sedi istituzionali preposte alla conoscenza e all’avanzamento di essa sono le sedi della ricerca. Non può realisticamente concepirsi un progetto di sviluppo di un territorio che sia riconducibile al governo di una istituzione democratica senza una integrata sinergia tra le istituzioni della politica e quelle della ricerca. È indubbio che la primogenitura spetta alla rappresentanza democratica, quale luogo di mediazione degli interessi e dei valori oggetto delle decisioni; ma non deve dubitarsi che la completezza valutativa della politica richieda una chiara conoscenza dei fenomeni sociali, economici e tecnologici in essere. Allo stato questo obiettivo è offuscato da due limiti. Da un lato, le istituzioni democratiche avvertono la presenza della conoscenza come il rischio di invasione, rischio non sempre infondato, non fosse altro che per il connaturato e benevolo atteggiamento supponente di chi è portatore di saperi. Questo rischio dev’essere ridotto al tollerabile con l’assumere la consapevolezza che il sapere tutto di un po’ non basta per assumere un ruolo decisionale che, invece, richiede di sapere un po’ del tutto. Dal lato opposto, le istituzioni della ricerca soffrono ancora molto il metodo settoriale della disciplinarizzazione della conoscenza. Ciò accade nei e tra i riparti dell’organizzazione istituzionale delle conoscenze, poco dialoganti e integranti, come tra le medesime istituzioni della ricerca. Questi limiti non privano i settori di eccellenti risultati ma rallentano l’agevole trasmissione delle conoscenze teoriche in pratiche applicazioni. Il problema è un problema politico nel senso che la politica ha un marcato interesse ad accelerare la trasmissione funzionale delle conoscenze secondo obiettivi di sviluppo predefiniti. Le istituzioni democratiche, superato ogni sindrome da invasione, dovrebbero promuovere e incentivare, in ogni forma, le federazioni funzionali di settori integrati della ricerca scientifica al fine di realizzare gli obiettivi di sviluppo del medio periodo. Siffatti progetti di integrazione federale dovrebbero includere le burocrazie delle istituzioni democratiche che, inserite nel processo produttivo delle conoscenze, resterebbero in prima linea nella fase attuativa e applicativa delle conoscenze elaborate. Federare le conoscenze con le esperienze genererebbe un circuito positivo idoneo ad allineare le prime secondo una fusione tra la teoria e la prassi, e a consentire alla ricerca un evidente funzione sociale. Un simile progetto politico richiede un modello organizzativo flessibile, scomponibile e ricomponibile secondo specifici obiettivi, una duttilità d’azione propria delle economie di mercato. D’altronde, quando la Costituzione repubblicana ammonisce per una buona amministrazione pubblica non vuole certo negare ad essa la qualità di adattarsi ai mutamenti sociali ed economici. Si è pronti all’ascolto?
prof. Enrico Caterini